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Adhd, Bes, Dva, Dsa, Fil, Nai, Pei/Pep, Icf, Pdp … E no, io non ci sto! Lasciatemi nel ghetto ancora un po’ 

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E se non è cosi. E se sono i genitori che stanno male anziché i loro figli che fanno da specchio per mettere a nudo una modalità di stare nella relazione familiare parziale? Se guardandoci allo specchio cerchiamo di correggere l’immagine riflessa nello specchio anziché la nostra, ci sembra evidente che stiamo ‘sbordando’ poiché è sulla nostra che dobbiamo intervenire se vogliamo migliorare il look che portiamo a spasso uscendo di casa. Chi potrebbe affermare il contrario è, come si suol dire, una tautologia, un eufemismo.

COOPERATIVA SANTANNA

Eppure quelli che pagano sono spesso i figli che fanno le veci dei genitori. Soffermandoci ancora un attimo sulla metafora dello specchio riflettente come si fa a scambiare l’immagine riflessa con l’immagine reale? Chi lo fa farebbe bene a ridare una spolverata al mito della caverna di Platone o all’idola specus di Bacon per rendersi conto che la problematica è meno che attuale. Anzi, affonda le sue radici nel tempo e pertanto diventano poco edificanti i dibattiti, i convegni, i seminari di formazione (?) incentrati sulle tante sigle che affollano di acronimi la scuola in ogni suo ordine e grado: DSA • Disturbi specifici del linguaggio • Disturbo della coordinazione motoria • Disprassia • Disturbo non verbale • Disturbo dello spettro autistico lieve • Disturbo Oppositivo Provocatorio Altre diagnosi DSA Alunni con ADHD Alunni con FIL Direttiva del 27 dicembre 2012 Disturbi Evolutivi Specifici Nota del 22 novembre 2013 • Dislessia • Disgrafia • Disortografia • Discalculia Alunni con certificazione DSA • Disturbi specifici del linguaggio • Disturbo della coordinazione motoria • Disprassia • Disturbo non verbale • Disturbo dello spettro autistico lieve • Disturbo Oppositivo Provocatorio • ADHD • FIL… è  una spada di Damocle che si abbatte sugli alunni come se fossero dei desaparecidos (“scomparsi”) rispetto alle generazioni antenate.

Ricordiamo che nella scuola dei padri/nonni i bambini in difficoltà erano semplicemente svogliati, inquieti… e pochissimi di loro frequentavano gli studi dei neuropsichiatri o degli psicoterapeuti. Oggi sono in fila presso i loro studi/ambulatori/ASL. Cosa è successo? Sono i nostri alunni che stanno male o gli adulti che non stanno bene? La domanda è d’obbligo… ma non c’è una risposta. Le risposte sono tante e necessitano di essere validate da analisi anche sociologiche che non possono essere delegate e relegate alle ASL. Se l’aumento esponenziale delle diagnosi di DSA… toccano percentuali a doppia cifra contro quelle minimali degli anni Cinquanta un ragionamento va fatto. La scuola si è trovata a dovere constatare sulla pelle dei propri alunni che il passaggio dal ‘villaggio/mondo’ al ‘mondo/villaggio’ ovvero, come asseriva Bauman, dalla società solida a quella liquida ha introdotto elementi di discontinuità che hanno determinato un certo disorientamento che in atto stenta a trovare una nuova solidità e pertanto il disagio – come l’ha definito Mariano Loiacono – si fa diffuso col rischio che venga fagocitato dalle istituzioni e trasformato in profitto o, diversamente, se riusciamo a cambiare verso, con la possibilità che maturi una cultura del disagio come opportunità per trasformare le criticità in nuovi punti di vista più vicini alla vita. In questo caso le condizioni da creare passano da una nuova sensibilità che riesca a vedere oltre il disagio per tracciare percorsi inediti che partano dai bisogni/desideri dei nostri alunni che col loro disagio cercano di far vedere i limiti e le responsabilità di adulti spesso dismaturi che giocano a fare gli adolescenti dando esempi non proprio edificanti.

Evidentemente non vorrei mettere due contesti generazionali in comparazione/contrapposizione come se l’uno dovesse prevalere/sopraffare sull’altro… Aristotele ci ha insegnato nell’etica nicomachea che “in medio stat virtus” ed è cosa buona e giusta rifarsi ad un saggio di quello spessore. Quindi puntare il dito sugli alunni è come soffermarsi sugli effetti trascurandone le cause. In questa ipotesi indagatrice illuminare a giorno le ombre lunghe degli adulti può aiutarci a lavorare a 360° anziché a 180°. Vogliamo pertanto interrogarci sulla ‘salute’ familiare senza tralasciare la formazione in atto degli insegnanti post/modulo (peccato averlo soppresso) o della scuola di tutti e per tutti che non si interroga sul perché il ‘di tutti’ dev’essere letto come sinonimo ‘per tutti’ e viceversa. Chi l’ha prescritta la frequenza (senza se e senza ma) contro chi avrebbe potuto e voluto dedicarsi alla vita pratica più che a quella teorica? Pensiamo davvero che siano stati sfortunati quelli che hanno imparato a ‘leggere, scrivere e far di conto’, poi si sono ritirati e messi in proprio coi lavori manuali e si sono evitati le tante ‘frustrazioni’ di una scuola ‘indigesta’ (almeno per loro)? Chi sente di asserirlo e pensarlo veramente che hanno sbagliato? Sappiamo bene che hanno avuto le loro soddisfazioni; sono riusciti pertanto a farsi una famiglia e darsi una dignitosa prospettiva socio-economica ed etica… e di certo si sono risparmiati le tante/troppe diagnosi a pioggia.

Oggi queste stesse persone seguono i loro figli che obbligatoriamente devono dedicare anima e corpo ad una scuola ‘autoreferenziale’ che arranca e di fatto mostra il fianco ad una certa psichiatria senza scrupoli che si tuffa a capofitto nell’etichettare (DSA, ADHD…) gli alunni segnalati a iosa anche dagli insegnanti in attesa che gli ‘acronimi’ avvicinino e sorpassino i cosiddetti ‘asintomatici’. In questo quadro disfunzionale bisogna scegliere, decidere, recidere ed innestare nuovi punti di vista per stabilire regole e percorsi che facciano leva sulle persone in carne ed ossa e non sui profitti che ci hanno resi sempre più poveri. Chi ha tanti soldi non significa che è ricco. Si può essere poveri coi soldi e ricchi senza soldi. L’investimento che alimenta la vita di ciascuno è quello ontologico dell’essere e non quello simbolico dell’avere. Lavorare perché non veniamo estinti da modelli consumistici che ci affidano ad una polizza assicurativa, ad un tutor, ad un sostegno, ad una pensione d’invalidità, ad una diagnosi che ci faciliti il cammino verso la carriera scolastica (?), è un bel salto quantico per tornare a guardare negli occhi i figli, gli alunni che hanno bisogno di vedere lo Stato investire sulla vita e di vedere gli adulti più adulti, più interi e più saggi.

Angelo Vita

(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)