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Ceci, fave e taralli nelle nozze di un tempo a Favara

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 Foto tratta dal sito internet cilibertoribera.it

In tempi lontani e non molto lontani, i giovani si fidanzavano, in genere, nella stagione autunnale, essendo stata in passato Favara, un centro prevalentemente agricolo e minerario.

COOPERATIVA SANTANNA

I ragazzi, che intendevano convolare a nozze, terminati i lavori dei campi, ultimato il raccolto delle olive e dissodati i campi per la semina,erano tutti protesi alla scelta della futura consorte.

A fare la scelta non era la donna, ma l’uomo. Quasi tutti i matrimoni  erano combinati. I giovani, nelle feste comandate come il Natale, la Pasqua o durante il periodo della fiera, che a Favara cadeva e cade l’ultima domenica di ottobre, si recavano in piazza Vespri, ”a Matrici”, il duomo della città, nel quale le madri accompagnavano a sentir messa le figlie da marito non solo per assolvere ad un motivo religioso, ma anche e principalmente perché potessero essere scelte e fidanzarsi.

Terminata la funzione religiosa, le ragazze uscivano dalla chiesa Madre per far ritorno a casa. Era una vera e propria passerella con i tanti giovani con gli occhi sgranati ad ammirare quelle belle figliole e protesi a fare l’eventuale scelta.

Non era una cosa semplice perchè non c’era alcuna possibilità di comunicare, di conoscersi e di dichiararsi. Allora il giovane adocchiata la ragazza, che lo aveva attratto o per la quale era nata una subitanea simpatia, andava alla ricerca di notizie relative alla sua famiglia e alla sua illibatezza; essere già stata fidanzata rappresentava un motivo di esclusione.

Le informazioni relative si avevano attraverso i vicini di casa o conoscenti e solo se il ceto sociale era pari a quello della propria famiglia veniva cercato il modo di dichiararsi,perchè se fosse stato inferiore il padre non ne avrebbe dato l’assenso. Solo allora il giovane o il padre di lui cercavano un “gancio” o un tramite per mezzo del quale chiedere la mano della ragazza prescelta.

L’intermediario,avuto l’incarico, si presentava al padre della fanciulla per chiedere “la mano”  della figlia per conto del giovane che gli aveva dato l’incarico tramite il padre o un conoscente.

Il genitore , a sua volta, si riservava di dare in tempi più o meno brevi una risposta,che poteva essere negativa o positiva. La riserva nasceva dalla necessità del padre di verificare se il giovane e  i suoi parenti erano di ceto sociale pari al suo e se il giovane era tale da assumersi la responsabilità di dar vita ad una famiglia e portarla dignitosamente avanti.

Nella maggior parte dei casi la giovane non era a conoscenza di quanto stava avvenendo. Solo dopo che il proprio genitore aveva appurato che il giovane poteva essere un buon “partito” per la figlia lo si faceva conoscere alla stessa.

Anche la conoscenza aveva un suo rituale, a parte il fatto che molte ragazze conoscevano il futuro marito il giorno del  “ricanuscimentu” perchè era il padre che sceglieva per loro, mentre altre, prima che il proprio genitore desse la risposta all’intermediario chiedeva al “gancio” di far passare  il giovane dalla strada della abitazione della ragazza o dalla via di un parente, in un giorno e un orario prestabiliti, in modo che la giovane potesse osservare il pretendente da un balcone o da un terrazzo. Se alla giovane sembrava simpatico  o le si presentava fisicamente bene, il genitore scioglieva in positivo la riserva. Prima ancora,però, che si ufficializzasse il fidanzamento, il “gancio” era tenuto a far incontrare le rispettive famiglie al fine di fare “u ristatu”. In altri termini i rappresentanti  delle due famiglie con la presenza anche di amici in casa di un parente per stabilire ciò che ciascuno dei due fidanzati portava in dote. Era un vero e proprio contratto.

Non sono mancati casi nei quali i fidanzamenti si sono “rotti” il giorno stabilito del matrimonio, con le persone già invitate, i mobili nella nuova casa e l’intrattenimento predisposto,per essere venuta meno una delle parti in ordine alla dote concordata.

Fattu “u ristatu”, si concordava ” u ricanuscimentu”. La famiglia del ragazzo incontrava quella della giovane  in casa della stessa affinché avvenisse la presentazione e la conoscenza. I due giovani se ne stavano dirimpetto a distanza di diversi metri, senza proferire parola e di tanto in tanto si davano qualche sguardo furtivo, mentre i parenti se ne stavano a chiacchierare del “più e del meno”.

Il fidanzamento era fatto. Era consuetudine anche stabilire la data del matrimonio, che avveniva in tempi brevi perchè un motto antico recitava “cordi longhi diventanu serpi” (corde lunghe diventano serpi).

Il fidanzato non poteva andare in casa della ragazza in assenza del genitore di lei e poteva farlo solo in orari pattuiti.

Quando i fidanzati si recavano da qualche parente o uscivano per qualsiasi altro motivo venivano accompagnati da uno stuolo di familiari, dai più piccoli ai più anziani e dovevano mantenersi a dovuta distanza l’una dall’altro. A volte il numero di coloro che li accompagnavano era tale da sembrare un vero e proprio corteo. Non era consentito tenersi per mano o andare a braccetto. Tale consuetudine è caduta in disuso e i giovani, ormai, si sono emancipati unitamente alle loro famiglie al pari di tutti i loro coetanei e genitori del resto d’Italia.

Il giorno della celebrazione il matrimonio era preceduto da un lungo periodo di festeggiamenti ,che nel tempo passato perdurava dai 24 giorni ai successivi 15 , infine agli 8 ed oggi del tutto cancellato.

Durante tale periodo ogni sera a casa della futura sposa si recavano parenti ed amici che erano stati invitati.
La serata  veniva allietata offrendo agli intervenuti ceci, fave “calli” e bicchieri di vino a volontà. Quando era possibile gli invitati venivano intrattenuti con farse, comiche e scherzi vari improvvisati da amici, che erano capaci di suscitare risate con la loro comicità. Non mancava la musica che veniva emessa da un grammofono. I balli erano mazurche, valzer, tanghi. Non si concepiva il ballo misto, a ballare erano uomini con uomini e donne con donne. Era un periodo molto lungo e,talvolta,   noioso anche perchè qualcuno bevendo qualche bicchiere in più finiva per ubriacarsi con il risultato di creare disgustosi problemi.

I regali venivano esposti in un angolo della stanza nella quale i fidanzati accoglievano gli invitati,mentre quelli in denaro venivano attaccati ad un lenzuolo o ad una coperta esposti a proposito ad una parete della stanza.

In tempi più recenti, poi, i ceci e le fave “calliati”, vennero sostituiti con i “taralli” dai variopinti colori , dolci tipici coperti da un velo di zucchero, oltre al vino veniva offerto il “rosolio”, fatto in casa o preparato da specialisti. Negli ultimi tempi si passò,poi,dai “taralli” alle paste che, in genere, erano composte da pan di spagna imbottito di ricotta con guarnizione di mandorla tostata e macinata (pasta Elena).

Il giorno del matrimonio la sposa in abito bianco, e a braccetto del padre con al seguito parenti ed amici e invitati dalla propria casa, si avviava verso la chiesa nella quale veniva celebrato il matrimonio. Un vero e proprio corteo si snodava lungo il tragitto, che dalla casa portava alla parrocchia. Tanta gente si affacciava dai balconi o si fermava lungo la strada attratta dal gioioso evento.

Celebrato il matrimonio, gli sposi ritornavano sempre in corteo in casa dei genitori della sposa, dove essi salutavano gli invitati offrendo loro i tradizionali confetti.

Finita la cerimonia gli sposi con le loro famiglie consumavano un banchetto non certamente luculliano, che iniziava con un brodo di cappone e terminava a suoni di bicchieri di vino e brindisi augurali.

La sera, poi, gli sposi venivano accompagnati dai loro familiari nella loro nuova casa, dalla quale non uscivano prima del trascorrere di otto giorni; il vitto, di solito, veniva loro portato dalla mamma della sposa,la quale all’ottavo giorno del matrimonio in tailleur insieme allo sposo usciva per far visita ai parenti.

In tempi molto remoti era consuetudine stendere le lenzuola che presentavano delle piccole macchie di sangue per attestare la verginità della sposa, la virilità dello sposo e che il matrimonio era stato consumato.

Oggi tali tradizioni sono del tutto scomparse  e si può affermare che il mondo,ormai, globalizzato ha cancellato le diversità.

Biagio lentini