Lo psicofarmaco… che pretesa(?)… La sua meta è dare sollievo all’anima e prendersene cura… tutte le sue varianti hanno lo stesso nobile scopo… ma è davvero così?
Quante volte gli obiettivi/mete non coincidono con la realtà del paziente che – ad un certo punto della sua vita – si spazientisce?
Quando succede – perché succede – si aprono nuove prospettive, un mondo nuovo in cui persino i croci-fissi si trasformano in croci-vie, i guinzagli in liber-azioni e, perché no, in arte… come questa pittura fatta di colori ed anche di dolori, di psico-farmaci triturati dalla ‘violenza/consapevolezza’ di chi mal li ha sopportati…
Quando la pillola si fa polvere e questa si colora d’arte materica in cui ogni granello s’imprigiona e si fonde con la nuova creatura messa su a più mani nasce la voglia di ripartire insieme per darsi nuove opportunità… da vivere in (vi-) agio e senza meta…
Chissà cosa passa nella mente di un ragazzo, di una ragazza, di un uomo, di una donna che al disagio che dovrebbe iniziarlo ad un nuovo viaggio/punto di vista più vicino alla vita si sente accompagnare (?) da una certa scienza tramite lo psicofarmaco, con le benzodiazepine, col depot… si sente cioè oggetto di attenzioni chimiche quando invece avrebbe bisogno di essere visto e poi ri-visto… a volte sembra come se questa (in)certa scienza (?) volesse convincersi di fermare il sole con una foto… cancellare l’orizzonte con una spugna… non si può dare senso al non senso che gli psicofarmaci alimentano sedando la vita, tappando le emozioni, inibendo gli impulsi, strappando le pagine in cui Freudintroduce l’es come elemento dirompente ed indispensabile per la costruzione di quella personalità condivisa con l’ioed il super/io… e sfrattarlo.
Quando succede – perché succede – inizia un percorso di crocifissione in cui il kronosfa fuori il kairos, come dire che si tiene in vita qualcosa che – a torto – si ritiene morto/a. È un punto di vista ‘spartano’, pseudo-efficientista, disinclusivo, delegante, triste, angosciante, funereo e soprattutto falso. È falso tutto ciò che esclude le possibilità/potenzialità che ha la vita di autogenerarsi, di cambiare i meccanismi che la contraddistinguono, specie se stimolata/accompagnata a riprendersi sue parti dormienti o rimaste traumatizzate, sensibilizzate, intorpidite da vissuti che hanno trovato nel disagio una modalità per gridare il proprio malessere a partire dall’ambiente più prossimo, quello familiare che fa da ‘spinterogeno’ nel bene e nel male alle spinte e controspinte che così bene ha sintetizzato Freud nella sua classica ‘interpretazione dei sogni’. È falso che la vita la si possa mettere a guinzaglio specie se il disagio è causato da condizioni di sofferenza che non riescono a palesarsi se non col sintomo.
Ritrovarsi nello stesso luogo/spazio al cospetto dei propri ‘psicopadroni’e decidere di decidere, scegliere di antropomorfizzare il ‘farmaco’ per trasmettergli quel senso di soffocamento, di morte, di angoscia ed impossibilità a vivere la vita, la propria vita, sento che sia di una liberazione unica. La frantumazione o la ‘scomposizione’ della personalità teorizzata da Freud qui si è trasformata in fenomeno vivo, in carne ed ossa, in nomi e cognomi, in storie e sogni infranti… ed avere trovato la forza/voglia di pestare, polverizzare, mischiare e con-fondere i diversi principi ‘attivi’ dei farmaci che rendevano gli assuntori inattivi, passivi, asserviti e quasi zombi, va visto come un bel colpo di reni indispensabile al portiere per salvare la propria rete da un insidioso pallonetto.
Polverizzati i farmaci e resili inoffensivi, l’idea felice che ha poi coinvolto i ragazzi è stata di farne la base per trasformare il negativo in positivo, la polvere in materiale da colorare e spalmare su una tela al fine di tracciare – ognuno come ha potuto/saputo/voluto – le proprie impronte/passaggi, sensazioni e rabbie, dolori e cogenti sofferenze, abbandoni e inconfessabili frustrazioni… in vita nuova.
La tela, pertanto, nella sua inedita creazione, ha determinato il suo pit stopper un nuovo starta cui la vita chiama solo se ci si mette in gioco, in ascolto, se non si abdica al dovere di vivere con piacere la vita che si abita a partire da ciò che solo ognuno è.
Tra i ragazzi che hanno partecipato a questo rito, reso possibile da un ambiente organizzato a tale scopo – dalla Fondazione Nuova Specie onlus presieduta dal dott. Mariano Loiacono – mi va di menzionarne due su tutti Giusy ancora impegnata ad attraversare il ponte che dall’oncologico la porti all’ontologicoe Michele che da un’esperienza drammatica che lo ha privato del fratello (suicida) è impegnato a dare senso alle tante opportunità/molteplicità che la vita offre a getto continuo nel suo divenire a chi sta in ascolto… e con questi nuovi ‘eroi’ non sarà facile per la psichiatria conservarsi un posto d’onore nella medicina e soprattutto tra i tanti (a loro insaputa) nietzschiani legati all’oltreuomo(ubermensch) più che alla sopravvivenza dell’eterno ritorno dell’uguale (ewige wiederkunft des gleichen) ‘psichiatrico’.
Angelo Vita
Pedagogista e docente di Filosofia e Storia