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A scuola SI PUÒ fare/DARE DI PIÙ SENZA ESSERE EROI…e c’è un come ‘qui ed ora’…

biowoodheaterpegaso

Se provassimo a fare un sondaggio tra gli alunni ed anche tra il personale scolastico per testare la possibilità di ridurre i giorni e le ore di lezione credo che l’esito sarebbe lo stesso di chiedere al popolo il consenso per pagare meno tasse. Eppure sono materie completamente diverse ed in parte anche antitetiche… mentre la scuola si propone di aumentare il bagaglio di conoscenze e di input utili ad acquisire migliori competenze/abilità generali e poi settoriali, le tasse tolgono una parte di reddito personale/familiare per un intento nobile seppure ‘indigesto’. Ed è questo indigesto il motivo per il quale il legislatore non permette di mettere a referendum una materia così delicata, necessaria MA ‘impopolare’. Per lo stesso motivo oggi – contrariamente al passato – se mettessimo sotto test l’attività intrascolastica troveremmo con molta probabilità la sorpresa di un disagio abbastanza corposo. Tutte le attività proposte dalla scuola fuori dalla scuola sono apprezzatissime e gli studenti sono addirittura disposti a sostenerne le spese pur di non stare in classe, dove fanno una certa fatica a rimanervi. Non di rado basta una ‘scusa’ che il giorno di lezione salta… per tradursi in un giorno di vacanza per tutti… anche per gli insegnanti? Si anche per gli insegnanti che vengono coinvolti nel ‘vortice’ di un disagio scolastico che si stenta a tamponare in tutta la sua portata.
È chiaro che la domanda è un po’ questa: cosa succede alla scuola e cosa dobbiamo fare perché si riprenda quella funzione che la dovrebbe contraddistinguere? I tentativi che si sono fatti e continuano a farsi per ri-animarla sono stati diversi ma tutti o quasi si sono limitati a rinnovarne il ‘guardaroba’ tecnico/burocratico che ha riguardato l’autonomia, i programmi non più ministeriali, tutto il corollario dell’inclusività… ma nel merito la scuola rimane vecchia in quanta continua a mettere in vetrina luoghi/spazi e classi fuori corso. C’è un distacco abissale cioè tra i bisogni/desideri dell’alunno in entrata (dalla scuola dell’infanzia all’Università) e le risposte che vengono apparecchiate dentro le mura scolastiche. Il mondo fuori dalla scuola non riesce a specchiarsi più nel mondo scuola, le immagini riflesse risultano informi e scontornate. Se gli studenti potessero lasciare la scuola superiore ed iscriversi direttamente all’Università lo farebbero ben volentieri perché le loro capacità col tempo anziché accrescere sembrano scemare. Il fuoco vivo invece di essere alimentato viene lasciato a se stesso sino a rimanere un misero tizzone abbandonato. Scandalizzarsi perché si propone di abbreviare di un anno gli studi della ‘Superiore’ è come non stare dentro le dinamiche della scuola che sono quelle prima accennate. I ragazzi sanno che bastano pochi giorni di impegno per rispondere positivamente alle verifiche, come sanno che i più ‘tosti’ non dovranno far altro che prepararsi un argomento o pochi argomenti a piacere per avere il ‘sei/politico’ le bocciature sono oramai confinate ad eventualità da enalotto e sono pochi gli insegnanti e gli alunni che le prendono in seria considerazione.
L’attenzione alle lezioni trova il suo massimo apice quando incide sulla vita della persona che ci include o che ci rimanda comunque a noi. I ragazzi tendono a partecipare a condizione che si parta e si resti ancorati a loro ed ogni disciplina se non viene piegata (al miglioramento della qualità della vita?) a questa necessità diventa una prescrizione, una ‘pillola’ da mandare giù senza alcuna sperare di sollievo… ad aggravare questa sensazione concorrono diversi fattori che hanno a che fare con le difficoltà che ha la scuola di garantire un’occupazione alla fine degli studi e della società a garantire un’occupazione – anche precaria – durante gli studi. La scuola sembra accogliere la fatica di progettare un futuro, fungendo talvolta – specie al sud – da ‘collocamento’ in attesa che succeda qualcosa che possa dare una scossa ad una vita piatta, segnata da routine fatte di social network e di vita notturna ‘bagnata’ da cocktail, birra e qualche spinello che li aiuti a staccare la spina da un quotidiano svuotato di interesse e pieno di obblighi/doveri richiesti dalla scuola come dalla stessa famiglia, impreparate al disagio che i ragazzi fanno vedere col loro modo di stare a scuola e nel mondo. La loro allegria appare come una reazione alla tristezza che avvertono dentro e che non riescono a mettere fuori completamente pur mostrando ‘conati di vomito’ esistenziale che solo i ‘ciechi ed i sordi’ si ostinano a non vedere e a non sentire.
Qual è la strada più prossima per ri-partire coi ragazzi dentro una scuola che si fa percorso di vita e conoscenza? L’idea che sento di socializzare è vecchia come lo è la vita che viviamo in ogni stagione storica. Il movimento a cui ci sottopone la vita fatica ad arrestarsi o frenare per concedersi alle tecniche/dogmi e metodi ritenuti indispensabili per raggiungere determinati obiettivi. Il nuotatore ha bisogno di esercitare il movimento insieme alla tecnica che lo metta nelle condizioni di competere e magari vincere la sua gara; il calciatore, lo sportivo in genere, se non mette a frutto i benefici della tecnica e del movimento che ne esprimono le capacità non sarà mai all’altezza di compiti superlativi, potrà essere un mediocre o un discreto calciatore, pugilista, …ma sa che i conti si fanno con la costanza, l’apprendimento delle regole e la capacità di tradurle in energia/dynamis stoica.
La scuola se non guarda in questa direzione, se non guarda i fatti elementari che determinano i comportamenti vitali… se non si conforma alle abilità (tecnico/cinetiche) necessarie propria di una tigre nell’atto di catturare una gazzella, rischia di non alimentare i suoi ‘figli’ che malnutriti andranno fuori dal circuito vitale per riempire le sale di attesa dei psicoterapeuti se non degli psichiatri che in agguato (almeno questi ultimi) aspettano il momento più propizio per farseli ‘pazienti’ a vita. Il da farsi necessita di partire da questa semplice considerazione che ci troviamo davanti ogni qualvolta osserviamo la ‘vita’ nel suo fluire. I ragazzi – sin dalla scuola di primo grado – dovrebbero essere spinti a lasciare la sedia, i banchi e vivere una maggiore precarietà che affina di per sé l’ingegno. Fare scuola seduti a cerchio, cambiare posti/posizione ed aule, luoghi/spazi ed ambienti, spostarsi in relazione ai moduli disciplinari da affrontare, entrare in una logica di interclasse dove ci si possa confrontare anche coi più grandi e con gli adulti, trovare un tempo in cui il razionale faccia spazio all’emozionale per evitare il mal di vivere che sta investendo i social network dove migliaia di ragazzi/e raccontano di viversi attacchi di panico, depressione, ansia, angoscia, dipendenze varie… la scuola non può andare avanti coi ‘paraocchi’ come si faceva coi cavalli per non distrarli… è un bene invece che la scuola si faccia distrarre dalla vita e dalle modalità che si sperimentano fuori dalle mura scolastiche per costruire i presupposti di una società più attenta alle dinamiche profonde che determinano il dis-Agio. Proporre sistematicamente lezioni/confronti e dinamiche condotti da esperti per dare senso alle parti a cui non si è dato sinora senso a scuola diventa una necessità non più procrastinabile. Mi vengono in mente i tanti progetti e i tanti interventi diretti a potenziare le tecniche per migliorare le performances degli alunni DSA e BES in genere… ma non ci vuole essere poi così profondi per notare che siamo scoperti sul fronte delle cause che determinano la diffusione di un disagio che prima era contenuto in percentuali irrisorie ed ora ha raggiunto la doppia cifra e sembra inarrestabile.
Il Liceo ‘MLKING’ di Favara quest’anno, con molta probabilità, sperimenterà delle lezioni, delle unità didattiche che vorranno contrastare il disagio per tradurlo in opportunità dando maggiore valore ai linguaggi che sinora non hanno trovato cittadinanza nelle aule scolastiche e che fanno fatica ad imporsi alla stregua di quelli curricolari incentrati tutti sul logos e assai poco sul pathos… sono curioso di vedere quale sarà la reazione dei ragazzi rispetto a detti linguaggi che spero possano diventare veri e propri vaccini di sopravvivenza.
Angelo Vita
(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)

COOPERATIVA SANTANNA