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Da SOLI senza il SOLE si è più SOLI… nel disagio!!!

Tutela AmbientebiowoodheaterSCUOLA GUARINO

 

…e se il Sole (stella) fosse solo un Sole solo? Il Sole che si trova nella nostra galassia non ha mai tempo di rimanere solo, 24/h su 24/h si illumina d’immenso illuminando-ci… non dimentica nessun luogo di sua competenza, i suoi raggi sono un dono per tutti, non c’è buio di notte che non conosca la luce di giorno. Come un padre saggio cerca di esserci per i figli che ne hanno bisogno così fa il Sole… non si nega a nessuno:  c’è per noi terrestri, per gli altri pianeti pur privi di vita animata, per i satelliti, i meteoriti anche passeggeri… non si risparmia per nessuna ragione al mondo; ogni sua energia viene profusa con generosità arrivando più forte dove si è più vicini e più debole dove si è più lontani per dissolversi ai confini della nostra galassia, dove altri Soli (stelle), anche se da soli, splendono nella convinzioni che la luce possa illuminare una parte di universo. Fuor di metafora più ci avviciniamo alla luce/conoscenza, più illuminiamo a giorno le parti/ombra che ci nascondono agli altri e non di rado a noi stessi.

COOPERATIVA SANTANNA

Il detto delfico del ‘conosci te stesso’ (gnōthi sautón) ha bisogno di tanto Sole per illuminare a giorno i motivi che portano taluni di noi a rimanere soli. Quando la solitudine è frutto della decisione dell’anima non siamo mai davvero soli perché splendiamo così forte dentro che anche fuori irradiamo come il Sole quel calore che auto/alimentiamo attraverso la contemplazione della nostra profondità che ci scopre per ciò che solo noi siamo. Se la solitudine è indotta invece dalla difficoltà di fare i conti con ‘noi stessi’, perché non vogliamo vedere le ombre che condizionano il nostro mal di vivere, allora vorrà dire che la strada per ritrovarci è così cosparsa di ciottoli che il nostro cammino si può fare incerto in quanto pieno di ostacoli che noi stessi frapponiamo tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere ma non siamo capaci di essere perché – a torto –  riteniamo complicato mettere in discussione alcune delle parti necrotiche che a macchia d’olio si allargano in attesa che ci decidiamo e scegliamo, definitivamente, di vivere o morire. A volte la morte è così presente in vita che si fa vedere e desiderare più della stessa vita… seguendo questa scia il suicidio può diventare un’eventualità difficile da scongiurare proprio perché è stato allevato nel tempo sino a decidere di recidere le poche parti vive che ancora vivono in chi, in coscienza, non si è reso conto che il fiume nel suo scorrere può incontrare le sue cascate ed in quel caso non è prevista alcuna risalita… e se la solitudine è data dall’esterno? Questa eventualità che sembra la più probabile credo proprio che sia la più rara.

La solitudine, generalmente, si profila come una proiezione del sé/spirituale/contemplativo o come una distorsione del sé nel caso non si siano fatti i conti con ciò che effettivamente pensiamo di essere e non siamo perché preferiamo attaccarci all’apparire o a come pensiamo che gli altri ci vedano. Non sappiamo cioè presentarci a noi stessi per quello che in fondo sentiamo e non abbiamo la forza o il coraggio di mostrare nemmeno a noi stessi. Esempi in tal senso se ne possono fare a iosa. Io dico una cosa che sento veramente, mi rendo conto che l’esterno non la coglie per come vorrei che la cogliesse e ne cambio il senso e/o la sostanza per non farmi svalutare più di quanto mi sento già svalutato di mio. Evito pertanto di affrontare la realtà perché sento di non esserne all’altezza poiché ne soffrirei maledettamente. Ma ciò non mi esime nemmeno dal rimanerne deluso, proprio perché in coscienza sento che sto bleffando e il continuare a dimostrarmi debole mi indebolisce ulteriormente prima ai miei occhi e di conseguenza agli occhi del mondo che non è altro che una proiezione del rapporto dismaturo con ciò che solo io vorrei essere ed ancora non sono.

C’è una solitudine fatta di assenze dal sociale. Dedicarsi completamente alla famiglia, senza coltivare le relazioni con l’esterno può col tempo allontanarci da quanti frequentavamo, col rischio di non avvicinarci a nuove amicizie perché assorbiti dai figli o dal partner. Rispetto a questa eventualità col tempo possiamo dare, addirittura, l’impressione all’esterno che tutto proceda a gonfie vele, anche se di fatto intorno s’è fatta terra bruciata… e le amicizie acquisite nell’adultità con molta probabilità ci appariranno superficiali, estemporanee e poco desiderate perché comparati ad un’idea che è antica, edulcorata… pertanto non ci si può alimentare di relazioni surrogate, subordinate, di second’ordine o di ‘ripiego’. Risultato: rimane un retrogusto di delusione tanto da preferire di rimanere soli con se stessi o soli col partner e la famiglia… sempre che sia rimasto il partner e/o la famiglia.

Quando invece la solitudine è data da un disagio nella sfera ontologica si soffre e ci si lacera di più perché c’è poco da fare se non sei tu quello che decide l’inclusione tra i tuoi ex amici o i parenti, una volta vicini ed adesso, in presenza del disagio, assai più distanti e distinti. È come se il disagio fosse ‘contro’ la sicurezza e la serenità di chi ti stava vicino ed ora non più perché ha preso le distanze per proteggersi evitando persino di condividere luoghi e spazi che in qualche modo possano favorire uno scambio o mettere a rischio il proprio equilibrio o la propria immagine di persona che di fronte al disagio sentono possa soccombere rimanendone in qualche modo vittima. Chi si allontana dal disagio ontologico tenda pertanto di scudarsi, di difendersi, perché sente di non essere capace di fare qualcosa di buono per aiutare l’amico o il familiare che chiede più attenzione, invadendo magari il territorio di chi vi si avvicina nella speranza di essere trascinato via da quel vortice che sembra non lasciarlo sino alla fine. Questo è uno dei motivi che porta amici e parenti a delegare il ‘problema’ alle comunità preposte, alla psichiatria o a chi istituzionalmente lavora per escludere dai processi inclusivi coloro che non risultano a norma rispetto ad un modello culturale, sociale ed economico efficientista.

Chi non è ‘efficiente’ viene estromesso dal tessuto socioeconomico e culturale perché il disagio non è contemplato, non ha ‘cittadinanza’, ovvero qualora lo si riscontra dev’essere messo a ‘guinzaglio’ e reso ‘efficiente’ attraverso la sua gestione delegata… ne sanno qualcosa le comunità prima accennate che su ogni persona ‘psichiatrizzata’ ricevono una retta mensile non indifferente… della serie: nella società odierna non si ‘butta’ niente o si è attivamente produttivi o passivamente produttivi. Tutto fa brodo. E questa forma di disagio trattato con massicce dosi di psicofarmaci e benzodiazepine lascia i ‘mal capitati’ in una lancinante e lacerante solitudine che col tempo nemmeno i familiari più stretti riescono a vederne il dolore ‘sgorgante’ di sofferenza… e succede che, man mano, si diradano le visite, sino a dimenticarsi delle domeniche, dei compleanni, delle feste familiari, come della Pasqua, del Natale o del capodanno, spingendo ancora di più il dito in quella piaga che non smette mai di sanguinare, come succede – perché è successo – che Togliatti insieme alla Jotti non si siano curati del figlio Aldino, Mussolini del figlio (primo illegittimo) Albino e così Agnelli del figlio Giorgio o Kennedy della figlia Rosemary… proprio perché incompatibili con la funzione pubblica ricoperta come statisti, imprenditori, uomini di partito e così facendo hanno cercato di nascondere sotto il tappeto il ruolo privato di genitori-falliti e statisti/imprenditori integerrimi… a questo punto chiedo a te lettore: perché nascondere il Sole, a chi è solo, se il Sole è di tutti?

Angelo Vita

(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)