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E se al ‘virus’ togliessimo la ‘corona’?

biowoodheaterpegaso

In un tempo dove gli attacchi di panico, le ansie, le depressioni e le mille e più fobie, mettono a dura prova la tenuta delle tante e troppe fragilità psico-culturali ed affettive, mi sembra che la ‘pandemia’ da corona/virus, stia scoprendo le debolezze di una società a bassa tenuta culturale ed emotiva, a conferma di un periodo – che dura oramai da tempo – di disagio aspecifico e diffuso che trova i suoi antenati nel passaggio dalla soggettivazione identitaria alla mercificazione dell’uomo, più propenso ad investire sull’oggeto/merce di consumo anzichè sui suoi simili. È una ‘parabola’ questa che trova in tanti autori dell’800 e del ‘900 – da Marx a Pasolini – i teorici che pur avendoci fatto vedere gli scenari disagici causati dal dio/denaro non ci hanno potuto impedire di cascarci in pieno.

Abbiamo sofferto, cioè, dello svuotamento dei nostri serbatoi esistenziali ad opera di un modello socio-economico e culturale ancorato al profitto e proteso a frantumare insieme alle identità personali le relazioni che dovrebbero determinare la convivenza di specie. Ed invece cosa succede in tutte le contrade del mondo dove il mercimonio regna? Si sfaldano le relazioni, si frantumano le identità, saltano gli equilibri familiari, politici, economici, culturali, etici… perché si pensa che si possa essere più autonomi – puntando sugli averi e abbandonando l’essere che ci fonda – ma non è così. Basta poco.

COOPERATIVA SANTANNA

Un problema, un incidente, una malattia perché tutto ci precipiti addosso per lasciarci soli coi nostri problemi-incidenti e malattie. Quante sono le famiglie che di fronte ad un problema economico e/o di salute delegano ad altri la soluzione o si allontanano dal problema isolandosi: tante se non troppe. Questo è un sintomo, che il dr Mariano Loiacono (epistemologo globale), chiama disagio diffuso. È la società come sistema, come modello, che mostra la corda ed alza bandiera bianca. Il dio/denaro che abdica di fronte ad un miserevole coronavirus ci mostra tutta la debolezza di un modello fatto di mercificazione ontologica che di fronte a problematiche esistenziali si ritrova impotente, inadatto, inconsistente e mortifero.

Lavorare per ricercare un nuovo modello onologico che si basi sulla vita e sulle fondamenta che la governano significherebbe ridare senso al senso della vita e meno senso/valore alle problematiche che – se viste con ottica nuova – dovrebbero spingerci verso nuovi equilibri più consoni alla natura umana, invece che farci disperare.

Il coronavirus ci sta mettendo alla prova? Mettiamola così. Iniziamo a pensare che questo nuovo ‘veleno’ (virus dal latino significa proprio veleno) che s’innesta da parassita ed abusivo nelle cellule ci stia testando per verificare la nostra capacità di estrometterlo dalle cellule dove tende a stanziare. Noi come possiamo reagire? I modi sono due:

  1. a) ci facciamo prendere dal panico ed alziamo bandiera bianca dando al virus la sua ‘corona’ per sottometterci;
  2. b) accettiamo la sfida e l’affrontiamo senza paura con la convinzione di contrastarlo con tutte le nostre forze in modo da creare gli anticorpi e farlo fuori.

L’idea che i problemi si possano risolvere scappando o facendo provviste di alimenti, non è sana. Questo nella consapevolezza che quanto si sta facendo in Italia e prima ancora in Cina, sia (stato) utile per isolare il ‘virus’. Purtuttavia il tempo dedicato a questa forma di contrasto severo non può protrarsi molto, pena la sottomissione delle comunità a fattori esogeni che dovranno essere contrastati da un maggiore investimento relazionale, sociale e culturale.

Togliamo al ‘virus’ la sua ‘corona’, costringiamolo ad essere parassita di se stesso e non diamogli l’occasione di insediarsi nel nostro organismo scelto perché debole ed ospitale. Dimostriamo a noi stessi che il ‘virus’ non l’avrà vinta e che noi non indietreggiamo di un millimetro. Ma è chiaro che per fare questo abbiamo bisogno di investire ancora di più sulle fondamenta che alimentano la nostra vita e non sul mercinomio, perché lì saremo sconfitti in partenza. La nostra vita non può essere parte dei progetti mercimonici che stanno dimostrando tutta la loro precarietà. Noi siamo umani. Comportiamoci per ciò che siamo e non spostiamo il nostro baricentro fuori di noi. I problemi si risolvono dentro e non fuori. Partire da noi equivale a ripartorirsi, a rinascere, a darsi nuove occasioni per stare meglio nella comunità che abitiamo più che nei conti che abbiamo.

Prof Angelo Vita – (Docente di Filosofia – Pedagogista Clinico)