
Il 27 gennaio del 1945 L’Armata Rossa, nella sua avanzata contro il nazifascismo, sfonda i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz facendo scoprire al mondo gli orrori dei campi di concentramento. Venne scelto questo evento per l’Istituzione del «Giorno della Memoria» e con legge n 211 del 20 luglio 2000 il 27 di gennaio diventa il giorno per far conoscere a tutte le nuove generazioni lo sterminio e le persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici, nei campi nazisti perché questi orrori non debbano mai più a ripetersi. Il Giorno della Memoria oggi è una ricorrenza internazionale perché è stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dell’1 novembre 2005. Durante la seconda guerra Mondiale, che ha coinvolto tutto il mondo, dal Canada all’Inghilterra, dagli Stati Uniti d’America a tutta l’Europa passando per il Giappone si calcola morirono 6 milioni di ebrei più circa 4 milioni di politici, antifascisti, militari e civili, una strage dalle proporzioni immani mai viste, con cifre inaudite di morti, mai sentite prima. Nella crudezza del racconto la Germania nazista e l’Italia fascista sono stati i responsabili di una immane tragedia in nome della razza.
Il “Giorno del ricordo”. Una tragedia avvolta nel silenzio e riconosciuta dallo Stato italiano con la Legge 92 del 30 marzo 2004, che ha istituito questa ricorrenza il 10 febbraio di ogni anno. É stato scelto il 10 febbraio in quanto in quel giorno del 1947 venne firmato il Trattato di Pace di Parigi, che confermava l’annessione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia e di Zara, già occupate militarmente.
Si calcola che questa tragedia ha causato 6/7mila morti
Le due vicende sono totalmente diverse per essere accomunate, la prima è una tragedia internazionale, la seconda è, come meglio leggerete più avanti, si, una tragedia, ma riferita ad una zona limitata al confine dell’Italia.
Ora mettere insieme con noncuranza due vicende storiche molto diverse ha il solo scopo di volerle confondere e assimilarle erroneamente. soprattutto quando ad ascoltare o a leggere sono ragazze e ragazzi che hanno diritto e meritano ben altra onestà e correttezza. Le responsabilità, le motivazioni e le condizioni geopolitiche sono profondamente diverse.
Serve prima di ogni ragionamento capire da dove nascono le due tragedie.
La seconda guerra mondiale nasce a pretesa del predominio del popolo ariano su tutti gli esseri umani, la seconda nasce dalla vendetta a seguito delle brutalità orrende subite dalle popolazioni di quei paesi a seguito della dominazione fascista sulle popolazioni da secoli diversi, ma conviventi e che da quel momento non erano più riconosciute in quanto tali ma che tutto doveva essere italianizzato dai fascisti.
Sicuramente le vendette sono sempre da condannare senza se e senza ma, in nome della giustizia.
Il punto di partenza per la ricostruzione della vicenda delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata è il carattere multi etnico del confine nordorientale dell’Italia, dove da secoli convivono italiani, sloveni e croati.
Queste comunità hanno convissuto senza tensioni le une accanto alle altre nei lunghi secoli in cui hanno fatto parte della “Repubblica di Venezia” prima e nei centovent’anni in cui sono diventate “Impero austro-ungarico” dopo.
Lingue diverse e riferimenti culturali diversi, MA matrimoni misti, coabitazioni, condivisione degli spazi e del lavoro”.
“I problemi iniziano quando tutta la regione diventa Regno d’Italia, perché in quegli stessi anni nasce e si afferma il Movimento dei Fasci di Mussolini, fortemente nazionalista e che predica e rivendica il carattere superiore dell’italianità e la propaganda assume valenze razziste.
Il fascismo conquistato il potere nel 1922 e diventato presto regime e trasforma la questione del confine nordorientale da strumento della propaganda in indirizzo programmatico: vietato l’uso di uffici pubbliciper chi non è italiano, soppressione delle organizzazioni culturali e ricreative slovene e croate, italianizzazione di tutta la toponomastica e di tutti i cognomi (per chi non lo ricordasse questo avvenne pure con la nostra Girgenti che con regio decreto legge n 1143 del 16/6/1927 il suo nome doveva essere italianizzato e quindi venne chiamata Agrigento), discriminazione degli slavi nelle carriere.
Sono vent’anni di italianizzazione forzata, che segnano fortemente quelle popolazioni.
Poi, nel 1941, la campagna nazi-fascista nei Balcani, la Jugoslavia occupata e spartita tra i vincitori con l’Italia che ottiene la Slovenia meridionale, il litorale dalmata, il controllo militare sul Montenegro e sulla Bosnia”.
Lo scrittore sloveno Boris Pahor diceva che gli italiani non sanno che cos’è stato il fascismo al confine orientale.
L’Alto Adige e la Venezia Giulia sono stati luoghi dove il fascismo ha esordito e ha rivelato le sue forme più violente e aggressive. Il fascismo di confine si muove da subito su base razzista, non c’è bisogno di aspettare le leggi razziali del 1938, peraltro annunciate proprio a Trieste, dove il fascismo mostra immediatamente la sua vocazione a calpestare determinati gruppi umani, in questo caso gli sloveni, e a porsi come braccio armato di una certa borghesia non illuminata.
l’italianizzazione forzata di quelle terre, le violenze nei confronti della popolazione civile jugoslava, la distruzione di interi villaggi, la costruzione di campi di concentramento italiani dove furono reclusi circa 100mila civili jugoslavi e dove si contarono migliaia di morti a causa del freddo, della fame, di malattie…
“Nei territori occupati si sviluppa presto una resistenza guerrigliera antitedesca e antitaliana e lo scontro si esaspera: da un lato attentati, attacchi a presidi e convogli, agguati a singoli soldati; dall’altra rappresaglie, esecuzioni sommarie, villaggi incendiati, deportazioni di civili”.
Resta famosa la circolare 3C emanata il 1 marzo 1942 dal Comando superiore delle forze armate fasciste in Slovenia e Dalmazia, questa circolare era in diretta relazione con il decreto emanato da Benito Mussolini in gennaio.
“Internamento di intere famiglie, uso di ostaggi, distruzione di abitati e confisca di beni”. “Si voleva quindi regolare l’atteggiamento che le truppe italiane dovevano mantenere nei confronti della resistenza jugoslava e della popolazione civile dei territori occupati, accogliendo esplicitamente il principio di correità della popolazione residente in un’area di attività partigiana e assumendo come metodo la politica del terrore contro i civili, ordinando rappresaglie, deportazioni, catture di ostaggi, fucilazioni sommarie, di bruciare interi villaggi, di distruggere derrate alimentari ed esecuzioni sommarie per semplice sospetto allo scopo preciso di “non fare prigionieri”.
“A differenza di quanto accade in altre realtà europee, dove la resistenza è animata da piccoli gruppi che agiscono autonomamente l’uno dall’altro, in Jugoslavia il movimento partigiano viene presto egemonizzato dal partito comunista e dal suo leader, il maresciallo Josip Broz detto “Tito”. Per tenere insieme le varie etnie jugoslave (serbi, sloveni, montenegrini, bosniaci, croati, kosovari, macedoni) Tito punta su due leve: da un lato il comunismo, la prospettiva di costruire una società senza classi e senza proprietà privata; dall’altro il nazionalismo slavo, il riscatto dopo vent’anni di umiliazioni e soprusi, la rivincita contro il dominio dell’Italia fascista.
A questo movimento nazionalcomunista, sapientemente alimentato dalla propaganda di guerra, Tito offre un obiettivo concreto: annettere alla nuova Jugoslavia tutte le regioni mistilingue, raggiungendo una linea di confine che scorra lungo l’Isonzo e inglobi sotto il governo di Belgrado l’Istria, la Dalmazia, Trieste, Gorizia, Monfalcone, gli arcipelaghi dell’Adriatico settentrionale.
Nel corso degli ultimi venti mesi di conflitto, la strategia jugoslava si precisa: arrivare a Trieste prima degli anglo-americani, perché “diventerà nostro tutto ciò che si troverà nelle mani del nostro esercito di liberazione”; insediare gli organi amministrativi locali affidandoli a elementi fidati sloveni o croati; avviare un’opera radicale di epurazione capace di eliminare in poco temo tutti coloro che sono contrari al nuovo potere jugoslavo e che potrebbero organizzare un’opposizione interna: creare, insomma, uno stato di fatto politico e militare.
DAL 30 APRILE 1945, quando gli uomini di Tito arrivano a Trieste, al successivo 12 giugno, quando le Grandi Potenze trovano raccordo sulla linea Morgan (la linea di confine che ancora oggi separa Italia e Slovenia), si sviluppa la repressione affidata all’Ozna, la polizia politica di Tito: i “nemici del popolo” (categoria volutamente generica per diventare discrezionale) vengono fermati, uccisi ed eliminati nelle foibe.
Le vittime sono tanto i fascisti, nemici di ieri, e coloro che rifiutano l’annessione e la società socialista: gli antifascisti moderati, gli esponenti della classe dirigente (professori universitari, giornalisti, liberi professionisti, responsabili delle capitanerie di porto), i funzionari statali (dai maestri agli impiegati delle poste), i parroci: in una parola, tutti coloro che possono rappresentare la comunità italiana e difenderne i diritti.
In un caotico intrecciarsi di iniziative e poteri incontrollati, per 40 giorni la regione vede la guerra prolungarsi nella pace: migliaia di morti (6/7 mila secondo i calcoli più recenti) e una percezione di insicurezza che si trasmette a tutta la comunità italiana.
Il tema delle foibe, mi pare evidente, più che essere conosciuto o studiato, sia stato usato, fino all’istituzione del Giorno del ricordo, per contrapporlo al Giorno della memoria o alla Resistenza. Perciò credo sia importante invogliare qualcuno a leggere qualche libro di storia prima di prendere parola”.
Quando la linea Morgan porta centinaia di migliaia di cittadini italiani a ritrovarsi sotto l’amministrazione jugoslava, inizia l’esodo: pochi si integrano nel nuovo stato, la grande maggioranza si sente in pericolo, discriminata nel lavoro, emarginata da un nazionalismo slavo esasperato. E cominciano le partenze, individuali o di gruppo, secondo modalità che variano da zona a zona, ma con un denominatore comune: si parte perché si percepisce che chi è italiano, al di là della linea Morgan, non ha più futuro.
I dati sono calcolati sulla base dei censimenti: tra il 1945 e il 1954 (quando gli ultimi rimasti partono dalla Zona B del Territorio Libero di Trieste, la fascia costiera dell’Istria settentrionale, il cui destino nazionale è rimasto indeciso sino ad allora), sono circa 300 mila iprofughi giuliani, fiumani e dalmati che raggiungono l’Italia e che vengono sparpagliati in 109 campi profughi allestiti in tutta la Penisola, dove molti vivranno per anni nella precarietà.
La legge istitutiva della “Giornata del ricordo”, votata nel 2004 dal Parlamento, ha “sdoganato” la vicenda, sottraendola alle rimozioni degli uni e alle celebrazioni ideologiche degli altri. Le vittime delle foibe e dell’esodo sono il prezzo pagato al regime fascista, se non ci fosse stato Mussolini e la sua alleanza con Hitler, non ci sarebbe stato neppure Tito e il suo regime comunista”, e non ci sarebbe stata nemmeno la seconda guerra mondiale. Questo e molto altro lo troverete, se ne avete voglia, nel libro: “LA FOIBA GRANDE” di Carlo Sgorlon Editore Mondadori