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… ma LA CULTURA LIBERA dal disagio?

 

 

…ancora Barcellona e prima Parigi, Londra… l’Europa, L’America… credo opportuno interrogarci su dove stiamo andando o se non dobbiamo impegnarci a tracciare nuove strade da sperimentare insieme… ed è per questo che conviene farci aiutare dai mediatori metastorici della filosofia che ci sostiene in questi ragionamenti.

È stato affascinante l’aver ripercorso a zig-zag le idee che hanno dato vita al pensiero occidentale che sostiene la nostra civiltà in crisi identitaria. La domanda a cui abbiamo cercato di dare risposta è se la filosofia può aiutarci a capire quali possibilità ha l’uomo in disagio di essere liberato da questa cappa che lo schiavizza ed oggettivizza eleggendolo anche a bersaglio terroristico. Ed è per questo che abbiamo voluto fare un tratto di strada accompagnati dai presocratici anche per comprendere la loro ricerca dell’archè come fosse l’antidoto a tutti i ‘perché’ che la mente umana continua a porsi… ci si sente come bambini curiosi di vedere come i grandi si interrogano per dare risposte plausibili al senso che dà il ‘la’ al principio che ci giustifica… ed ogni risposta ha avuto di certo il suo fascino, dall’acqua all’apeiron, alla terra, al cielo, all’aria, ai numeri, al seme, alla sostanza, per non dire di Democrito che aveva fatto scacco matto ma nessuno se n’era accorto, anzi quasi era stato linciato dai suoi stessi contemporanei… eppure il suo atomismo resisterà molto più a lungo delle stesse teorie di Aristotele costretto a piegarsi alle tante incursioni della scienza che di fatto ha rottamato il suo disegno politico, fisico e metafisico che sembrava a prova di logica.

La filosofia, ed in questo ha ragione il saggio Aristotele, è ‘meraviglia’, ammirazione, stupore, ed aggiungo che è soprattutto curiosità, ricerca, dialogo, confronto… ma anche poesia, arte, musica, etica, progetto,  e salto nel buio… la filosofia cioè è un modo per dare valore alla capacità dell’uomo di competere col suo Dio, di cui ha emulato la volontà di andare oltre il fenomeno, l’apparenza, la consuetudine, la nascita e la stessa morte a condizione che si metta al servizio dell’uomo.

L’uomo, sin dagli albori, non è stato mai propenso alla rassegnazione bensì all’azione ‘per’ ma anche ‘contro’… questo per scrutare i misteri della morte… per andare oltre i limiti e trasformare frontiere e confini in nuove soglie da cui ripartire… che cos’è la metempsicosi dei greci se non il bisogno di andare aldilà dei limiti, anche biologici, cui la vita sembra costringerlo, pur essendo cresciuti con l’idea che bisogna vivere ciò di cui siamo certi di poter vivere… Socrate, ad esempio, non si porrà mai il problema, di ciò di cui sa di non sapere ovvero, della morte cui nessuno ha fatto esperienza e nemmeno di prima dell’essere concepiti. Che senso ha fare ipotesi se queste congetture non sono verificabili?

C’è voluto Platone per metterci in guardia dalle illusioni e dagli inganni indotti dalla realtà ‘cavernicola’ che ci costruiamo e/o subiamo facendo enorme fatica a liberarcene. Ecco se la filosofia la leggiamo sotto questo aspetto diventa conseguenziale piegarla alla nostra modalità di stare al mondo che si fonda tanto sulla meraviglia, sui perché, sulla curiosità della ricerca/scoperta, come anche sul bisogno di vivere una vita che valga la pena di essere vissuta. Se non affrontiamo le ombre che ci con-fondono e ci allontanano dal ‘sole’ della conoscenza e ci fanno perdere il contatto coi nostri bisogni/desideri di vita e non li affrontiamo con risolutezza ci sarà sempre qualcosa (tèchne) o qualcuno (il potere finanziario e istituzionale pre/costituito) che cercherà di rendere statico ciò che per natura è dinamico. Perché? Ma è evidente che non c’è una mente maligna che si pre/occupa di rendere statico ciò che diviene… ma se è così, ritorna la domanda del ‘perché’… l’uomo politico di Platone, di Aristotele, di Kant, per non scomodare gli idealisti, è stato soggiogato dall’omo omini lupus di Hobbes che si sposa con il liberismo economico che ha, col tempo, fatto dell’individuo una ‘carta di credito’ su cui attingere per l’arricchimento dei pochi a discapito dei molti?… e ciò che più è grave è stato l’aver sostituito le virtù della cultura greca ed illuminista con la sottomissione dell’uomo ai guadagni che diventano fini, essendo di fatto, lui un mezzo quando è efficiente ed un mezzo quando è in disagio poiché sottoposto alle attenzioni delle industrie farmaceutiche o delle comunità come quelle a ‘doppia diagnosi’ sulle quali sarà bene fare un discorso a parte che qui non compete

L’uomo del nostro tempo, come scriveva Marx e lo stesso  Pasolini, è ‘merce’ tra le merci, “…da immettere nel magma ingordo del mercato, ma per carità, pur sempre dotata di parvenza umana, quindi di conto corrente, di una casa, di una famiglia, di comodità e di agi e di svaghi, istruita e perbene e in salute, che però si sente viva solo se funziona, e per funzionare a pieno regime quella merce lì deve essere oliata a dovere omologandosi psicologicamente e culturalmente al tutto” (di A. Costanza).

Qual è la conseguenza? È il disagio di vivere in contesti in cui il ‘benessere’ passa dall’idea merceologica che le multinazionali hanno deciso per noi. È un ‘benessere’ illusorio perché messo in vetrina… non fa i conti cioè con la vita reale che è fatta di relazioni, di scambi, di affetti, di solidarietà, del prendersi cura di quanti inciampano tra i ‘ciottoli’ che si frappongono al cammino. Chi si conforma a questo ‘benessere’ merceologico pone il suo soddisfacimento nel possedere quante più cose possibili e magari all’ultimo grido. Evidentemente detto ‘benessere’ essendo per sua natura artefatto non crea felicità, bensì assuefazione… si ha sempre bisogno di essere all’altezza di rispondere a quei desideri/indotti dal mercato che portano in taluni casi alla criminalità, all’omicidio, allo spaccio, al bullismo, al terrorismo… ciò al fine di sentirsi visti in un mercato in cui sono più i ‘nessuno’ che quanti sentono di avere una qualche parvenza di identità. Ed è in questo contesto che il disagio (allontanamento da sé) interroga sul ruolo e la funzione della famiglia, della scuola, delle istituzioni e dello Stato.

Abbiamo perso i nostri mediatori metastorici, ovvero il rapporto con la nostra memoria, con le nostre radici, costumi e tradizioni… il consumismo che ha dettato legge nell’ultimo secolo ha deturpato il tessuto sociale che – comunque – nei millenni aveva mantenuto un proprio schema di riferimento abbastanza solido. In famiglia i genitori si sapeva dove stavano, quale funzione avevano. Il rispetto che i figli dovevano loro era, a dir poco, sacro. Si trattava di un bene o di un male? Poco importa. Quello che conta è che allora la famiglia aveva una sua struttura ferrea ed ognuno aveva un ruolo/funzione… la società agricola e preindustriale seguiva altre leggi che non erano certo quelle che hanno determinato la perdita di senso dell’uomo del tempo… ed allora il padre anche ad essere un idiota o un criminale veniva sempre rispettato dai figli. Tale modello era ripetibile in ogni altra istituzione, a scuola come nello Stato; non era consuetudine prendersi gioco del padre, della madre,  del Re, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio o della Presidente della Camera senza venirne immediatamente sanzionati con tutta la severità che la legge avrebbe imposto.

Non avere punti fermi ha fatto sì che, come asseriva il sociologo Bauman la società si fosse liquefatta… il rispetto o i riferimenti non sono più evidenti; ci troviamo davanti a figli che bullizzano i genitori per una manciata di soldi o alunni che si scagliano contro gli insegnanti e ahimè con la complicità – una volta impensata – dei genitori; per non parlare dei tanti che tramite i social network si scagliano contro le autorità senza pensare a volte di collegare le parole ai fatti che le giustificano. È cronaca dell’altro ieri: un signore fa a pezzi la sorella perché stanco di chiedergli soldi… ricorda come paradosso la vicenda di Abramo. Il dio-denaro che chiede sacrifici a costa di calpestare la salute e la vita anche dei propri familiari.

Come se ne esce? Insieme… non esistono vie solitarie verso un modello nuovo di società che metta l’uomo al riparo dagli sguardi interessati delle multinazionali che lo hanno mercificato… le risposte possibili sono tante e vanno ‘cucinate’ a scuola come nei centri di promozione umana e culturale… la Farm Cultural Park in tal senso è da sette anni che interviene sul tessuto urbano per rivitalizzare zone che la società dei consumi aveva abbandonato perché in controtendenza rispetto al modello da ‘vetrina’ propinato dai mass-media a getto continuo.

La sfida che nel piccolo possiamo lanciare è di innestare in questa attività di recupero urbanistico-architettonico, la riabilitazione dei nostri giovani e delle nostre famiglie dal disagio diffuso che potrebbe essere letta come occasione per transitare verso una società più vicina alla vita. Attivare una rete di uomini e donne, di ragazzi e ragazze che iniziano ad ascoltarsi, sarebbe un bel passo da fare per dare senso agli allarmi contro il nichilismo lanciati da Nietzsche, e la vita vuota dell’esteta teorizzata da Kierkegaard.

 

Angelo Vita

(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)