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QUESTO (non) LO DICE FREUD…

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COOPERATIVA SANTANNA

Ha ragione Nek, nel cantare che ‘Freud è uno di noi’? Altroché, ma non solo.

È stato uno dei più grandi, insieme a qualche altro (Jung, Lacan…) che ha segnato l’esistenza/essenza di un profondo da indagare per ascoltare e farsi spiegare bene il discrimine tra le patologie organiche conclamate e quelle presunte dell’anima.

…con la nascita della psicanalisi, si sono spese tante parole e tutte riferite alla nostra presunta fragilità biopsichica. Basta andare a vedere l’idea che si è fatta Freud dell’inconscio e quella che ha voluto trasmettere per convenire che l’inconscio, che lui ha cercato di strappare all’oblio, sta al negativo come il conscio sta al positivo e così la notte al giorno ed il bene al male… ovvero tutto ciò che non gira x il verso giusto è da collocare nella sfera dell’irrazionale, del negativo mentre ciò che gira bene si rifà al controllo che si ha di questo livello ‘concupiscente’, direbbe Platone, visto come un’ombra tetra sulla luce di ciò che la ragione apparecchia come ‘norma’ per garantirsi salute ed armonia. Certo che andare a sindacare il grande Freud non è operazione che possa passare inosservata o che possa farsi con leggerezza… eppure la sua visione medica, pur sempre cartesiana, ovvero, organicistica,  ha condizionato di fatto la sua stessa ‘rivoluzione’ tesa a delimitare il campo della medicina classica alle malattie che non fossero causate dalla parte bio/organica da trattare attraverso la psicanalisi ed inseguito l’ipnosi che senza l’ausilio dei farmaci poteva operare sulla cosiddetta ‘isteria’ e/o sulle nevrosi… Il salto quantico che vogliamo imprimere alla psicanalisi – oramai corrosa dai cambiamenti epocali sopravvenuti dal dopo guerra ad oggi – è di guardare al fenomeno vivo, rappresentato dalle dinamiche socioculturali, morali ed economiche, vissute dall’uomo e dalla donna, con uno spirito nuovo cosparso di anelito verso il positivo che il nostro ‘sottobosco’ al cosciente impone. Per essere chiari, dovremmo dare valore alle nostre parti cosiddette nascoste che alimentano il benessere che ci fa stare in sinergia con noi e col mondo.
Freud nel sollevare il coperchio alle incertezze della medicina cartesiana tesa ad alzare le mura tra mente (res cigitans) e corpo  (res extensa) si accorge come tante problematiche vengano dal subconscio, cosa che anche il vecchio Platone aveva evidenziato… l’errore prospettico che ne limita il suo punto di vista psicopatologico è dato da considerazioni negative sul subconscio inteso come parte insana rispetto alla ragione/coscienza sana… in questo caso succube delle ‘radici’ che ci danno linfa e sussistenza. L’inconscio per sua natura è il codice che limita di fatto il conscio costretto a mediare col mondo interno caotico e quello esterno regolamentato. Ma la domanda, a questo punto, è un po’ questa: e se così non fosse? E se la parte cosiddetta inconscia dopo avere avuto piena libertà d’agire è stata costretta dai miti, dalle religioni, dalle tradizioni, dal progresso, dalle ‘regole’,… a cedere il passo al razionale, al cosciente, ad organizzare la vita soffocando bisogni e desideri che per centinaia di migliaia di anni sono stati esercitati in maniera molto più libera? La ‘cultura’, che ha prodotto il linguaggio, la scrittura, la filosofia, la scienza… di converso, suo malgrado, ha ristretto il campo dell’agire pulsionale relegandolo a ‘cenerentola’ della coscienza. Per essere più chiari si potrebbe paragonare la coscienza alla storia (4,5 migliaia di anni) che è un’inezia rispetto agli anni della preistoria o dell’inconscio che hanno accompagnato l’uomo bipede, per non dire della sua gestazione che dura da più di 4,5 miliardi di anni.

La nostra parte ‘antenata’ (inconscia), nata prima e comunque più significativa della parte consapevole (conscia) è quella che determina i malesseri che non solo sono dell’anima, ma anche del corpo. Scindere ‘corpo ed anima’ è come non avere capito che l’equilibrio tra i diversi codici che sottostanno alla nostra serenità è stato messo in crisi da un modello di società monolitico-razionale in cui tutto si misura con l’efficienza ed il valore è un criterio economicistico e non esistenziale o ontologico. Pensare – ecco l’appunto a Freud – che si possa intervenire sul disagio/psichè senza toccare il corpo inteso come avamposto della sfera dell’organizzazione sociale, economica, etica, religiosa e politica è come nascondere il sole col dito. Il disagio esistenziale è effetto dei cambiamenti indotti da una certa visione, della scienza e della tecnica, che di fatto ha causato così tanti tagli nell’uomo (e nella donna di oggi) da costringerlo a mera cosa tra le cose.
Gli effetti di questa ‘cosità’ si chiamano ‘disagio diffuso’… ed è per questo che il confine tra sintomatico ed asintomatico è labile se addirittura non si con-fonde. All’ingresso del manicomio di Agrigento ricordo che capeggiava la scritta ‘Non tutti ci sono e non tutti lo sono’. Come dire intanto facciamo una retata e poi si vede… la psichiatria è questa. Va a tentoni. Non è affidabile perché anche i cosiddetti ‘non tutti ci sono’ vengono sottoposti a trattamenti chimici sino a che non lasciano ogni speranza di ritornate a vivere una vita degna di essere vissuta. L’unica colpa spesso è di soffrire tagli e prescrizioni che stridono con la propria natura, ma che sono stati trasmessi. Costringere la parte inconscia a vivere dentro gli steccati efficientistici del conscio è come avere un cane al guinzaglio credendolo libero ed addestrato, perché legato al padrone di turno. La libertà non sopporta ‘guinzagli’ come chi ha un disagio esistenziale non va trattato chimicamente o trattato come un reietto.

Ritornando a Freud, non si può non riconoscerlo un antesignano di una medicina (lui era un medico) demedicalizzata. Ciò detto è evidente che ha aperto una strada che in atto dev’essere ancora camminata, tralasciando l’approccio clinico – tête-à-tête – per immergersi nel flusso sociale del disagio e trasformarlo in vera occasione per un ‘salto precipiziale’ verso una nuova opportunità di vita che prenda dalle nostre profondità quegli input che, più di ogni esterno, si conciliano col nostro modo di stare al mondo  e di abitare il mondo. Freud (come i freudiani in seguito) nei suoi interventi clinici, come già ricordato, aveva completamente escluso il corpo, perché fermo  al codice verbale. In analisi quello che per lui serviva erano le parole, il corpo era un ‘intruso’, tant’è che veniva mantenuto in posizione stesa. ‘Clinica’, difatti, deriva dal greco kline che significa letto, ovvero persona che sta a letto e pertanto immobilizzata e comunque ammalata. Allo psicanalista/psicoterapeuta se lo si incontra per strada non lo si guarda; il toccare non è concesso, e se lo si incontra fuori dallo studio non lo si saluta altrimenti potrebbe nascere quella sorta di transfert, che prelude all’interazione emotiva (rischio immedesimazione affettiva e sentimentale) e mette in crisi quel rapporto medico-paziente improntato sul mancato transfer. Le difficoltà che aveva Freud a gestire il rapporto col corpo era diventato un pericolo. E persino l’attuale psicoterapia viene scandita dal tempo/durata (un’ora… mezzora) per chiudersi con la parcella che sembra sugellare la chiusura tra psicoterapeuta e paziente. Ma è così? No.

Storie di transfer – nella casistica di settore – ce ne sono a iosa ad iniziare dal discepolo di Freud, Jung che non resistendo al fascino di Sabina (che poi diventerà psicanalista), le regalerà la sua ‘anima’, parte femminile della psiche. La ‘fragilità’ delle nostre parti antenate è come l’aria che ci permette di respirare. L’aria non la vediamo, ci sembra vuota, eppure è quella che permette la vita alla vita… ed anche a voler essere materici la nostra ‘fragilità’ potremmo paragonarla al mare di cui noi siamo i pesci… il mare è molto di più dei pesci e senza non ci sarebbe alcuna vita floro-faunistica… e quanta fatica fa per liberarsi dagli attacchi inquinanti di un ambiente ostile, figlio della tecnica vestita da pseudo/progresso diretta da una certa scienza senz’anima responsabile delle guerre calde e fredde, delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, dei forni crematori, delle camere a gas, dei gulag…

Le nostre parti ‘ombra’, nate prima cioè del linguaggio e messe a guinzaglio della ragione, sono quelle da cui partire per spingerci a superare le ‘soluzioni/dipendenze’ quando finiscono di essere feconde ed impediscono il prosieguo del viaggio verso un nuovo punto di vista più vicino alla vita.

Angelo Vita

(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)