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SI SALVI CHI PUO’… dalle sigle del disagio di ‘classe’

biowoodheaterpegaso

 

Un esercito di insegnanti della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria, sotto la spinta costante dell’USR (Ufficio Scolastico Regionale), dell’USP (Ufficio Scolastico Provinciale), dell’ASP (Azienda Sanitaria Provinciale), dell’OSP (Osservatorio Scolastico Provinciale) e del mi sto confondendo con le sigle perché concentrato a decodificare gli interessi ‘ossessivi compulsivi’ del SSN (Sistema Sanitario Nazionale) relativi all’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ossia in italiano il Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività), ai DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), ai DOP (Disturbo Oppositivo Provocatorio),  ai FIL (Funzionamento Intellettivo Limite), ai BES (Bisogni Educativi Speciali), dal 2010 a data da destinarsi sono impegnati a segnalare situazioni  sopra siglate per attivare tecniche specifiche atte a migliorare la capacità istruttiva di ciascun alunno coinvolto in questi screening di massa e segnalato all’ASL e/o ai tanti centri specialistici impegnati a valutare il grado DSA da sottoporre a trattamento con metodologie dispensative/compensative finalizzato al successo scolastico che in questi casi è garantito a priori con la tutela dell’insegnante di sostegno chiamato a rendere operative le tante tecniche elaborate a getto continuo dai laboratori asettici delle università ad indirizzo psicopedagogico e metodologico.

COOPERATIVA SANTANNA

La realtà che le tante (troppe?) sigle ci mettono davanti è indigesta per chi tra i dati in crescendo legge come la popolazione scolastica sia cambiata negli anni e viva una sofferenza sistemica che non può lasciarci indifferenti. Le cose sono due: o il disagio contemplato dalle numerose sigle cresce in maniera esponenziale alle sot

*******+tese richieste di una certa neuropsichiatria o siamo di fronte ad un mostruoso errore di analisi che sottace un forte e diffuso disagio che interessa la generalità della popolazione e mette spalle al muro una scuola che negli ultimi trent’anni non è riuscita ad avere l’idea della condizione che gli alunni portano tra le mura delle proprie aule. È sotto gli occhi di tutti che l’aumento del ‘disagio’, nelle sue diverse declinazioni, sta interessando ogni livello scolastico da nord a sud della penisola; questo a dimostrare – se ci affidiamo ai dati in crescendo che registriamo annop dopo anno – che le ‘tecniche’ prodotte dalla scuola per rispondere ai nuovi bisogni formativi sono oggettivamente inadeguate, eccetto che il fenomeno sia stato così sommerso che solo negli ultimi anni si è imposto all’attenzione di tutti in tutta la sua gravità e generalità. C’è da aspettarsi, secondo questo trend di crescita, una ulteriore crescita a doppia cifra per i ‘DSA’ – che eleggiamo in rappresentanze delle numerose sigle che contemplano il disagio – in attesa che siano i cosiddetti ‘agiati’ a divenire minoranza di una maggioranza di alunni certificati o comunque sotto ‘tutela’.

A questo punto ci corre l’obbligo di chiederci se la scuola non si stia con-fondendo col disagio ovvero se la scuola non sia parte – come credo – del disagio che cerca di contrastare con tecniche metodologiche che di fatto risultano essere inadeguate in quanto gli effetti prodotti appaiono cosi irrisori da non fare notizia. È come se l’alcolista volesse essere esempio per convincere un altro alcolista a smettere di bere o della serie fai ciò che dico e non fare ciò che faccio. È chiaro che il mio tentativo è di forzare la lettura delle tante sigle che abitano la scuola per spingere tutti gli operatori scolastici a riflettere sulla salute della scuola oggi. La domanda pertanto è un po’ questa? La scuola è in grado di contrastare il disagio diffuso – al di là dei tanti e troppi acronimi che la frequentano – con gli strumenti che ha a disposizione? Ovvero, caricando a più non posso gli insegnanti – specie della scuola di base – di incombenze, non ultima di protesi dell’ASL a cui segnalare i casi di disagio da certificare, pensa davvero di accompagnare i propri alunni al successo formativo? Ed ammesso che gli interventi tecno-metodologici attivati nelle aule si rivelino ancora di più efficaci (?) non si pensa che il piatto, della ‘bilancia’ dell’educazione-istruzione, poggi troppo sull’istruzione e poco o nulla sull’educazione? Voglio essere ancora più preciso. Se il disagio che spesso non è strumentalmente diagnosticabile ci porta ad indagare problematiche che mettono in gioco le relazioni e i conflitti intrafamiliari che necessitano di spostare l’attenzione sul coinvolgimento emotivo-relazionale degli alunni, che facciamo? Se il bambino non riesce a concentrarsi perché problematiche attive familiari lo distraggono dall’impegno tecnico-didattico che facciamo lo mettiamo in trattamento compensativo/dispensativo o cerchiamo di accogliere anche le tante parti che – ahi noi – lasciamo fuori dalla soglia della scuola che diventa confine invalicabile per chi ha degli ‘irrisolti’ da cui partire e non delle lezioni-nozioni da acquisire.

Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Guglielmo Marconi, Albert Einstein, Robin Wiliams, Jhon Lennon… tutti ‘dislessici’ (?) chissà che fine avrebbero fatto all’interno di un’idea di scuola ‘convergente’ in cui si va per obiettivi monolitici e spesso si tralascia la formazione in senso lato… seguendo la metodica del pensiero convergente del tutti ‘lo stesso libro’, gli stessi obiettivi, gli stessi posti a sedere, gli stessi esercizi, le stesse ricerche sugli stessi strumenti,… pensate che avremmo avuto l’eppur si muove di Galileo, la lampadina a incandescenza di Edison, la teoria della relatività di Einstein, il telegrafo di Marconi?… mi rendo conto che il ‘no’ è impegnativo, ma sento proprio che se la scuola non si apre al pensiero divergente avrà sempre più problemi da affrontare nell’offrirsi alle nuove generazioni che chiedono maggiore visibilità e partecipazione ai processi formativi che li coinvolgono come soggetti e non oggetti a cui riferire tecniche metodiche prescrittive e prive di ‘battito cardiaco’.

Ed è col pensiero ‘divergente’ che possiamo intercettare il disagio dei nostri alunni e tradurlo, in sinergia con le famiglie, in occasioni/opportunità per migliorare la qualità della vita dei singoli e dei gruppi/classe accompagnati a dare valore ai propri bisogni individuali e sociali inespressi o impediti da vissuti che vanno accolti/ascoltati dentro le aule scolastiche trasformate in ‘uteri/psichè’ generatori di nuovi ed originali modi di stare con sé e con gli altri all’interno di orizzonti in cui ognuno possa esprimere se stesso senza sentirsi costretto a ripetere modelli prescrittivi forieri di frustrazione e per nulla attenti alle energie libidiche che vanno orientate ad illuminare a giorno le parti/ombra che tengono in ostaggio quelle soluzioni creative che i grandi geni hanno saputo valorizzare partendo da ciò che ognuno di loro è stato. E sia chiaro che ogni qualvolta si dà valore alla vita di chi mostra un disagio prima o poi la vita stessa ci sarà grata per l’aiuto che le avremo dato ascoltandola.

Angelo Vita – (Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)