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IL FEMMINILE… salverà il mondo… Michela Garbati… docet

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COOPERATIVA SANTANNA

I capolavori di Michela Garbati dovrebbero essere visti nel loro insieme… tutti sono legati da un ‘unicum’ che poggia sulla figura del femminile… la donna porta tra le sue braccia la fatica e la gioia di una discendenza feconda che non si arresta di fronte a niente. I volti cangianti che attraversano le stagioni del nostro essere stati, del nostro essere ora e del nostro non essere ancora, possono contare sulla serietà/saggezza di un femminile che non abbandona il campo a costo di moltiplicare i suoi sforzi e ripartorire i suoi figli tutte le volte che la vita lo richieda. Riesce, cioè, a ri-mettersi in gioco a partire dalla sua appartenenza, dalla sua prossimità alla vita che le ha incarnato la possibilità/necessità di spingere la specie oltre l’individualità, oltre il proprio egocentrismo… La donna pertanto si fa carico di assumere su di sé il comando nei momenti bui in cui il maschile si ‘perde’ nel finalismo delle sue azioni terrene tendendo a riconciliarsi col femminile da cui trae linfa per sopravvivere alla propria caducità ed effimeratezza, messa a dura prova dai fallimenti di una mascolinità che si è confusa con l’avere, perdendo di vista l’essere, ossia la sua profondità, il sommerso che la liquidità di una società consumista tiene sotto scacco per averne il controllo. La donna, nella consapevolezza/saggezza di essere la longa manus della vita che si eterna nella specie, affronta le parti liquide, il mare mosso dal disagio diffuso in cui il maschile ha costretto l’umanità, per approdare ad una sponda sulla quale dare futuro alla sua natura generatrice di vita e mai doma nonostante le parti buie che contraddistinguono la sua precaria e decisa navigazione affidata all’inedito, cui va incontro nella sua nudità materna che non perde mai di vista il suo essere parte di un mondo/fecondo che lei stessa contribuisce a rendere vivo ed abitabile.

 

LA VITA – in questa rappresentazione della Garbati – È FEMMINA…

È la donna che porta oggi più di prima il peso e la responsabilità della creazione di una nuova specie di post- homo oeconomicus, che lasci alle sue spalle la spasmodica ricerca dell’efficientismo sociale, economico, culturale ed etico designato e prospettato a suo tempo da John Stuart Mill nel saggio Sulla definizione di economia politica (1836). Visto il dipinto nella sua versione verticale la sensazione forte è che la rivoluzione dal ‘maschile’ al ‘femminile’ sia già avvenuta, cosa che pur essendo probabile ed auspicabile in atto è lontana dal realizzarsi. Per questo ho preferito vederla rappresentata in orizzontale… il tempo della sua ascesa/scalata verso la verticalità ed un nuovo mondo incentrato su un’idea feconda dell’esistenza è ancora in fasce e, come lo specchio riflettente di questa gravidanza dimostra, la nascita si compirà quando il nascituro avrà gustato il piacere di viversi ambedue le parti quella in ombra che identifico con la parte più profonda dell’essere o dell’albero della vita e quella illuminata che identifico con la parte fenomenica più vicina all’albero della conoscenza e quindi alle dinamiche di interazione tra l’ontologico ed il suo tortuoso procedere nel mondo reale. La donna/femmina in questa sua posizione creatrice sembra farsi carico della vita che le è stata affidata e nella sua consapevolezza fa trasparire il compito che le spetta nell’essere lei la compagna di un cammino tutto da esplorare per contrastare il disagio che sta mettendo a dura prova la specie umana in ogni sua contrada geopolitica. La certezza che la sostiene è la sua capacità/caparbietà di portare a termine il compito che le è stato affidato, senza fare una piega, e la convinzione che non può e non deve scegliere tra il sole/luce e la luna/ombra, tra natura e cultura, ma deve essere sintesi di queste modalità che solo insieme sono una. Ed è nella donna che nasce l’unificazione che le diverse epistemologie, imposte dagli ambienti di vita, si sono sempre incaricati di mettere in difficoltà per fini utilitaristici che nulla hanno a che vedere/fare con la vita che abitiamo. E dove c’è buio dentro quest’utero psichè c’è luce, come dove c’è luce, fuori c’è buio… in questo connubio di opposti che coincidono perfettamente si aprono le porte per un nuovo percorso indispensabile nel contrastare il disagio in tutte le sue forme.

 

Il futuro nell’ARTE si coniuga al FEMMINILE

In questa rappresentazione c’è una significativa e dirompente esplosione di vita, di energia e di presenzialità feconda, che ci fa scoprire la novità di una vena artistica che opera all’interno della sofferenza per coglierne l’anima… ed in questo capolavoro si vede il figlio dare senso alla madre che si fa padre e spirito di un modo di stare e di abitare il mondo dove il maschile ha abbandonato il progetto di un nuovo mondo affidato al femminile che si incarica di ricostruire quel tessuto olistico che restituisce l’uomo alla natura e la natura al suo essere generatrice di vita. Le radici non si interrano per inabissarsi e lavorare nel sommerso ma per farci sentire parte di un tutto che ci ingloba e si proietta verso l’alto per radicarci anche nel cielo dove i colori fanno da sfondo ai desideri che dal basso ascendono verso orizzonti inesplorati grondanti di molteplicità e di una gradazione di colori che si espandono mischiandosi a macchia in ogni angolo in cui la vita s’insedia e s’insinua. Una caratteristica delle pitture di Michela Garbati è data come si vede dalla nudità, la sola che può avvicinarsi alla vita senza i ‘veli’ di uomini che faticano a scommettere su una nuova idea di mondo non più alimentato dal disagio ontologico che trova invece in talune istituzioni terreno fertile per speculare sulla ‘cronicità’ del malessere e costruire le proprie fortune sottovalutando, ancora una volta, che saranno i colori della vita a spuntarla… perché solo la vita sa come difendere la vita dalla non-vita che risiede tra le pareti peccaminose del SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura)… che noi stessi contribuiamo a mantenere.

 

IL MASCHILE si salverà… al FEMMINILE…

Tutto di-pende nel maschile/femminile da un equilibrio in cui ogni cosa va valorizzata per quello che è… parti emerse (luce + complementarietà di ciò che rimane autentico) di un maschile e di un femminile spoglio dalle maschere del ‘vestiario’ sporco di incrostazioni artificiose e dimentiche di quella linfa vitale che ci ha iniziati alla vita, sin da quel concepimento, che ha visto nella figura materna quella carezza/cura che in ogni momento ha alimentato la vita che dal sommerso si spinge sino a rompere quella crosta sottile che nulla può di fronte alla vita che si eterna nascendo. In questo quadro, di Michela Garbati, in cui la luce e l’ombra si danno da fare perché la vita si radichi e cresca, c’è il senso forte di quello spettacolo che la natura riserva a chi non dimentica di essere parte del mistero che siamo abitandola. Sotto la ‘calotta’ del maschile/femminile che si industria per indicare una via luminosa sulla quale dirigersi, c’è quell’utero/seme che dando vita alla vita si colloca fuori dal corpo della donna facendosi spirito e dentro la calotta della terra facendosi corpo quasi a significare questa intensità che l’interazione/intreccio dell’In.di.co. (Infinito dinamico e complesso) provoca quando ogni cosa è ben-posta. In questa rappresentazione la Garbati, descrive l’agio come approdo dal disagio che negli altri suoi lavori emerge come travaglio frutto di un’analisi artistica che non ha bisogno delle parole per raccontarci le vicissitudini di un’umanità che è alla ricerca di una propria identità e che in questo quadro appare ri-trovata in ogni suo colore, in ogni sua forma, nei corpi come nello spirito di una specie che va oltre le difficoltà grazie alla riscoperta di quell’armonia in cui emerso e sommerso, luce e buio, partecipano per glorificare il senso della vita che sentiamo dentro quando siamo baricentrati in ciò che profondamente solo noi siamo. Angelo Vita (Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)